Diabete mellito di tipo 2 e dieta chetogenica

Diabete mellito di tipo 2 e dieta chetogenica

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che a convivere con il diabete nel 2014 fossero circa 422 milioni di individui di età superiore ai 18 anni, la maggior parte dei quali vive nel Sud-Est Asiatico e negli Stati dell’Ovest: solo i Paesi affacciati sul Pacifico sembra comprendano metà dei casi di diabete in tutto il mondo. La continua crescita della popolazione mondiale, il suo progressivo invecchiamento, la diffusione e l’incidenza di malattia a tutte le fasce di età hanno portato a un notevole incremento nel numero di pazienti con diagnosi di diabete. Si calcola pertanto che, a livello globale, il numero di individui colpiti dalla malattia sia pressoché quadruplicato rispetto agli anni ‘80 [1].

Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito alla diffusione del diabete di tipo 2 (T2DM, Type 2 Diabetes Mellitus) in tutti i paesi indipendentemente dal grado di benessere economico che li caratterizzava, rispecchiando piuttosto l’aumento globale del numero di persone obese o in sovrappeso. Proprio queste due importanti caratteristiche risultano strettamente correlate all’insorgenza di questa malattia e, nonostante le numerose iniziative promosse dall’OMS per arginare la diffusione dell’obesità entro il 2025, il numero di individui sovrappeso o addirittura obesi sta continuando ad aumentare a livello globale. Solo nel 2014, almeno 1 individuo adulto su 3 è risultato sovrappeso e almeno 1 su 10 è risultato obeso, con la prevalenza del genere femminile su quello maschile [1].

Remissione del diabete di tipo 2: è possibile?

La diagnosi di T2DM comporta generalmente costi sanitari e sociali anche ingenti, per cui la possibilità di ottenere una remissione completa di malattia, oltre a rappresentare un successo terapeutico, si tradurrebbe ovviamente anche in un risparmio significativo di risorse economiche [2,3]. Nonostante il T2DM rappresenti una patologia cronica a carattere progressivo, in letteratura sono riportate evidenze circa la possibilità di raggiungere uno stato di remissione parziale o completa di malattia, che viene definito anche con il nome di “reverse diabetes” [3,4]. Nel caso del T2DM, per remissione si intende una normalizzazione dei valori glicemici senza l’ausilio di farmaci e un miglioramento della sensibilità insulinica (HbA1c <6%, cioè al di sotto di 42 mmol/mol) per un determinato periodo di tempo (pari di solito a 6 mesi) [4,5]. L’incidenza della remissione parziale o totale del T2DM attraverso il trattamento medico-farmacologico è ancora molto bassa e si attesta generalmente intorno al 2%, come evidenziato anche dai dati di un trial clinico statunitense: su 122.781 pazienti controllati per 7 anni, la percentuale di remissione è stata pari all’1,6% [6]. Per questo motivo, gli ultimi anni sono stati segnati dalla ricerca di una strategia terapeutica in grado di portare alla remissione, sia per migliorare il decorso della malattia e la qualità di vita del paziente, sia per contenere i costi legati alla spesa sanitaria [3,4].

Una dieta chetogenica a basso contenuto di carboidrati si è dimostrata efficace nel ridurre la glicemia e l’emoglobina glicata A1c.

Una dieta chetogenica può determinare, in casi selezionati, una remissione del T2DM

Il ruolo del calo ponderale

Accanto al ricorso al trattamento farmacologico è ormai ben documentato che la remissione del T2DM avviene anche attraverso un significativo calo di peso. Questo è evidente soprattutto nei casi di pazienti obesi sottoposti a chirurgia bariatrica, tanto che il controllo ottenuto sulla glicemia attraverso questo approccio risulta più efficace rispetto a quello ottenuto attraverso il trattamento farmacologico [7,10] e i risultati in termini di normalizzazione della glicemia e della resistenza insulinica sono confermati a 10 anni dall’intervento [10]. In questo senso, una modifica allo stile di vita dei pazienti basata sull’attività fisica e sull’adozione di un regime dietetico orientato al calo di peso [5,11] sarebbe in grado di indurre la riduzione della glicemia e dell’emoglobina glicata A1c (HbA1c) e contemporaneamente di favorire il recupero della funzionalità delle cellule beta pancreatiche. Secondo alcuni autori una perdita di peso pari a circa 15 Kg potrebbe addirittura aprire le porte a una remissione completa [12,13].

La riduzione dell‘introito glucidico

L’adozione di una dieta ipocalorica a basso contenuto di carboidrati si è dimostrata efficace nel ridurre la glicemia, promuovere il calo ponderale e consentire il raggiungimento della remissione del T2DM [2,4]. Un apporto ridotto di carboidrati, nel contesto di una dieta chetogenica, determina un rapido annullamento dell’accumulo di trigliceridi a livello epatico e pancreatico, eliminando quindi le condizioni patologiche che sostengono il T2DM. In casi selezionati, una dieta così strutturata può determinare pertanto la remissione di malattia con ampio margine di successo [2,14,19].

Una dieta chetogenica determina un rapido annullamento di accumulo di trigliceridi a livello epatico e pancreatico.

Le diete a ridotto contenuto glucidico nel T2DM

Nei pazienti con un T2DM sono sufficienti 8 settimane di dieta VLCD (Very Low Calorie Diet) per assistere a una rapida diminuzione del grasso intra-epatico, al ripristino della sensibilità ormonale e della funzionalità delle cellule beta e alla normalizzazione della glicemia a digiuno (<7 mmol/L) analoghe a quelle ottenibili in seguito a un intervento bariatrico [2,20,21]. Nei pazienti con lunga storia di malattia, tuttavia, un intervento dietetico, associato o meno alla terapia farmacologica, può non essere sufficiente per raggiungere la remissione, ma determinerebbe comunque un beneficio in termini di glicemia e di riduzione dell’HbA1c [2,16,22]. I tassi di aderenza e la compliance verso i regimi VLCD sono generalmente elevati tra i pazienti con T2DM. Essi, infatti, non solo favoriscono la progressiva riduzione del ricorso alle terapie farmacologiche orali [19,23,24], ma sono anche privi degli eventi avversi caratterizzanti comunemente i farmaci antidiabetici [2,16]. L’efficacia delle diete VLCD si basa sull’induzione di un comportamento metabolico analogo a quello che consegue a un intervento di chirurgia bariatrica. In quest’ultimo caso infatti, il miglioramento dei valori della glicemia, dell’HbA1c e del profilo lipidico avviene ancor prima del calo ponderale [17,25,26], soprattutto nei casi di bypass gastrico e non si verifica, invece, con altre metodiche come, per esempio, il bendaggio gastrico. Nel caso del bypass il rapido raggiungimento dell’ileo distale da parte del cibo determina un’aumentata produzione di alcune incretine ad effetto antidiabetico, tra cui il GLP-1 (Glucagon-Like Peptide-1) [27,28]. Allo stesso modo, con le diete VLCD vengono attivati alcuni processi metabolici in grado di indurre una precoce normalizzazione dei valori glicemici, non solo grazie alla drastica riduzione del glucosio in ingresso, ma anche al progressivo aumento della sensibilità all’insulina sistemica [2]. Questo si traduce ovviamente in un netto miglioramento dei biomarker di malattia, dei parametri antropometrici e della sintomatologia correlata [5,29]. Si calcola che in circa il 40% dei casi la remissione di malattia ottenuta con una dieta VLCD possa perdurare per un periodo di almeno 6 mesi [5]. Questo aspetto costituisce anche un potente effetto motivante per i pazienti nel mantenere la perdita di peso ottenuta. Sebbene non possa essere applicato a tutti i casi di T2DM, un approccio dietetico VLCD consente, in tipologie selezionate di pazienti, di raggiungere uno stato di remissione parziale o completa e di fare del T2DM una patologia potenzialmente reversibile [23].

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BIBLIOGRAFIA

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